domenica 5 ottobre 2014

Fine del mondo



Io sono la fine del mondo.
Credevi che sarebbe stata un terremoto, una collisione di corpi celesti, un metorite? O forse lo sciogliersi del ghiaccio a nord e sud, e una immensa inondazione, tsunami e onde? Hai guardato troppi film, e chi li ha fatti ha letto troppi fumetti, forse.
Come pensi, come pensate sempre piatto. Sapete solo andare dritto. Se capita qualcosa di spaventoso farà certo un gran rumore. Se capita qualcosa di tremendo sarà per forza qualcosa che arriva. Una cometa, un diluvio, una bomba, un virus.
O magari neppure ci credevi. Le deridevi come baggianate per spaventare i creduloni, le pensavi superstizioni irrazionali, quando avresti dovuto sapere che davvero irrazionale è solo pensare che le cose non arrivino alla fine.
E infatti eccola, la fine del mondo. Comincia adesso, qui.
Non aver paura, non esploderà niente. La terra non si muoverà, e non si allagherà. Però morirai, tu e tutti i tuoi simili, e moriranno piante e animali, e il tuo mondo, quello che pensi sia il tuo mondo, morirà.
Non sarà così veloce come per un meteorite, mi dispiace. Sarà più lento e, non vorrei dirtelo ma è meglio tu lo sappia, sarà più doloroso.
E no, non c'è niente da fare.
Adesso non c'è proprio più niente da fare, niente. Qualche tempo fa, forse. Chissà, ad accorgersi prima, forse.
Ma adesso nessuno può fare niente, niente più.
Io me ne sto andando, muoio. E il mondo finirà.
Non te ne accorgerai subito, sai. Ci vorrà un po', sarà lenta la morte del mondo, te l'ho detto.
Poi a un certo punto capirai, e chissà cosa farai, chissà cosa farete tutti quanti, quante cose vi inventerete, quali fantasiose soluzioni fibrillanti panico, quali ingegnosi tentativi inzuppati di paura. Potete anche risparmiarveli, te lo dico fin da ora, perché non serviranno. Non servirà neanche cercare di salvare almeno qualcuno, qualche potente, qualche intelligente, qualche giusto, qualche bambino. Moriranno, anche i soldati e gli scienziati e i re. Le regine, vedi, sono morte tutte.
Chissà dove sei adesso, mentre il mondo inizia a finire. Sei a ballare, sei a mangiare un gelato. Io che qui sto morendo, e tu che mangi il gelato. Sai, ti ho guardato muoverti in questa stanza, per un po': entrare, uscire, fare delle cose che non so. E tu non ti sei mai accorto di me. Eppure ho cercato di dirtelo, abbiamo cercato di dirvelo. Milioni di volte abbiamo provato, e non vi siete neanche resi conto che stavamo parlando con voi.
Neppure della mia morte ti accorgerai, questo è sicuro. E dire che ne abbiamo fatta di strada assieme. Ci conosciamo dalla notte dei tempi, abbiamo vissuto insieme così tante cose. E ora muoio e tu neanche lo sai. È andata così, che ci vuoi fare. Potrei darti la colpa, non sarebbe difficile. Ma nemmeno questo servirebbe a niente. E poi la punizione per le tue colpe l'avrai, l'avrai.
Se avessi potuto fare qualcosa l'avrei fatto, davvero. Ma non posso. E sono qui, davanti alla finestra e muoio. Guardo questo sole chiaro, sento frusciare le tue tende, e mi raggomitolo e muoio. Adesso. Adesso inizia la fine del mondo.
Io sono la fine del mondo.
Io sono l'ultima ape.










lunedì 19 marzo 2012

mercoledì, 26 ottobre 2011



Non li voglio, i fiorellini. E nemmeno i pupazzini. Le grechine. Gli orsetti. Detesto tutto questo ornare cose che non hanno nessun bisogno di essere ornate. Perché mai devo avere dei fiori sulla carta igienica? Perché la carta da cucina deve avere fiocchetti e pentolini? Io le voglio bianche. Per favore.
Perché non è vero che le cose decorate sono più carine. Sono più brutte. Ma molto più brutte, molto.
L'ornato è una cosa seria, una cosa difficile, costosa, impegnativa, laboriosa. Altrimenti è una porcheria.
L'ornato è l'Alhambra, è William Morris, è gli azulejos e Wedgwood e Lalique, è gli arazzi medievali e i kilim. È, piuttosto, i ghirigori di tuo figlio col pastello. Qualcosa disegnato con in mente la bellezza, e realizzato con delizia e cura. Qualcosa che ti fa felici gli occhi.
Non un guazzabuglio triste e casuale di stupidaggini riprodotte malamente.
Tu non ti accorgi, ma nella tua bella cucina tutta linda si affollano i fiori approssimati della tovaglia rosa, le geometrie giallo e marrone degli strofinacci, gli uccelli verdini del rotolo di carta, i quadretti azzurri dei tovagliolini, i cuori rossi e le greche imprecise del barattoli, le foglie nocciola sulle piastrelle beige, le margherite stampigliate in arancio sopra i piatti, le campanule turchine dell'insalatiera, le padelle e le pannocchie sulle presine, sghembe.
Si affollano e ti frastornano gli occhi, come un frastuono di rumori stupidi.
Perché non è vero che non è importante quello che ti vedi intorno: non ci fai caso ma ti abitui un po' per volta a tante piccole inutili bruttezze. Così ci siamo assuefatti al dozzinale, al tirato via, allo stampato in qualche modo, al simulacro di fiore, all'elefantino come lo disegna suor Giuliana, al quadrettato di colori a caso.
Se non possiamo permetterci piastrelle decorate bene, allora siano bianche, santo cielo. O azzurre, o verdi, o nere. Ma quei bambù marroni, quegli aborti di glicini e di rose, poi li vedi tutti i giorni, sai. Le prime cose che vedi ogni mattina sono volgari, sconsolate e brutte.
Io sogno da anni un negozio che venda le cose di ogni giorno, quelle basiche, le calze e le tazze, gli strofinacci e le magliette, i tovaglioli e le mutande, i barattoli e la carta igienica e le tende e le piastrelle, che le venda bianche, bianche e basta.
Perché l'inquinamento delle piccole cose è un altro genere di lupatoto, che un po' ogni giorno ti avvelena di trascuratezza, di minimi orrori che non ti accorgi di vedere.



Non avere nella tua casa nulla che tu non sappia utile, o che non creda bello. 
(William Morris, La bellezza della vita)
 
venerdì, 21 ottobre 2011

Ecco, questa cosa del sangue. Mi stupisce sempre la gente che in tv e sui giornali si abbevera di fiumi di sangue, di morti ammazzati veri e finti, di cadaveri realmente massacrati e di quelli impiastricciati di colorante rosso, di schizzi che imbrattano i muri, di scie sul pavimento, di esplosioni di teste, di pozze che si allargano sotto persone disarticolate a terra, di dita che frugano frattaglie sui tavoli da autopsia. E poi dicono che loro a fare l'esame del sangue svengono. Perché sono sensibili, proprio non sopportano.
Quelli che no, non so pulire un pollo, non l'ho mai fatto, ma dio che impressione, che raccapriccio, morirei.
Quelli che oddio ti sei tagliato, oddio guarda c'è il sangue, un cerotto, no non ce la faccio ad andare a prenderti un cerotto, devo sedermi, mammamia che senso.
Quelli che ma davvero peschi, ma come fai, ma prendi i vermi con le dita, ma davvero, dio io non potrei mai, ma poi il pesce lo uccidi?
Quelli che guarda fammi fare tutto ma non medicare una ferita, giuro non ce la faccio, il sangue, mi sento male, solo il pensiero, guarda.
Mammamia, quanto siamo distanti dalla vita.
 
 
domenica, 16 ottobre 2011

Siamo contro la violenza, va bene. Su questo tutti d'accordo, dai.
Diventa persino un po' stucchevole e barocco continuare a dirlo e ripeterlo "Ah, anch'io" "Ma anch'io, ci mancherebbe". Tutti d'accordo, va bene.
Detto questo, io mi sento sempre più a disagio nel sentire parlare di cortei e manifestazioni in termini di Una bellissima festa, tanta gente colorata e allegra che sfilava pacificamente, cantando. Più che una protesta, una scampagnata: tanti cartelli e strisconi, si, ma mamme e bambini, e cori e colori. Cosi vanno bene, le proteste, cosi van fatte.
E sfido. A chi mai può dar fastido un gruppone di gente, anche fosse moltissima, che passeggia al sole?

Ma che bravi, vedi, come protestano bene, come sono educati, carini, allegri.
Che dolci.

Magari sbaglierò, ma non riesco a non pensare che una protesta debba dare FASTIDIO.
Debba disturbare, debba mettere in difficoltà qualcuno, debba essere in qualche modo un problema.
Che venga graziosamente concesso di esprimere protesta purché nessuno protesti troppo, rabbia purché nessuno si mostri troppo arrabbiato, purché nessuno faccia troppo rumore, purché si lasci tutto pulito, purché nessuno rimanga turbato: ecco, a me inizia a sembrare un imbroglio.

Proibire una manifestazione creerebbe un sacco di problemi, va a sapere poi cosa gli verrebbe in mente, che la facciano la manifestazione, poverini, han bisogno anche loro un po' di svago, un po' di sfogo.
Purché, naturalmente, si abituino a pensare che una manifestazione ben riuscita è quella che farebbero Heidi e Hello Kitty, una cosa tenera e canterina, un corteo di Hobbit che lanciano fiori nel dolce sole d'autunno.

Non voglio, sia chiaro, non voglio che nessuno si faccia male, non voglio che sia distrutto o  bruciato niente.
Però bisognerà pur trovare una maniera per far sì che una protesta torni ad essere una protesta: giusta, forte ed EFFICACE.
Perché se le città sono accondiscendenti e liete, se i governanti sono benevoli, tranquilli e persino inteneriti, sbaglierò ma a me qualcosa non torna più.

Tocca inventare qualcosa, io credo. Non so cosa, ma magari bisognerebbe povarci. Magari un sit in che blocchi tutto, magari liberare per le strade un milione di rane, magari versare bidoni di tempera gialla e verde e blu - lavabile per carità, ma sai il fastidio - magari solo le biglie come in Animal House. Non so. Forse ai ragazzi, ai più giovani e freschi, verrà in mente qualcosa. Spero.

Perché riunire mezzo milione di persone incazzate ed essere fieri di come tutto sia stato bello e riuscito bene, avendo ottenuto tre inquadrature di palloncini colorati e bei faccini a me sembra una truffa. Un po' come i Massì tesoro va bene, fai pure il piercing, è giusto che i giovani si sentano protestatari, però non troppo grosso. E lava le mani, e dì buongiorno alla signora, e non tenere la musica troppo alta in camera.

Finchè il modo in cui si protesta dovrà essere approvato sorridendo da coloro contro cui si protesta, mi spiace, a me continuerà a non tornare il conto.
 
martedì, 11 ottobre 2011

- Perché tu, oltre che bello, sei anche buono.
- Ahahahahah, ma dai... non è vero!
- Sì che è vero.
- Ma smettila, dai. E poi cosa intendi per "buono"?
- Buono: che non fai male a nessuno volontariamente, che se appena puoi fai bene a qualcuno deliberatamente. Buono. Dai, accidenti, sai benissimo cosa vuol dire: non te l'ha mai detto tua mamma, tua nonna "Sii buono"? E lo sapevi cosa intendevano, no?
- Sì, ma. Ma erano almeno trentacinque anni che non ne sentivo parlare. E poi, non so...

Ecco, appunto.
Quando è stata l'ultima volta che avete detto a qualcuno che era buono senza avere la vaga sensazione di offenderlo?
Non si dice più Sii buono. Si dice Fai il bravo. Che è una cosa molto diversa, mi pare: un modo di comportarsi, non un modo di essere. Si può essere perfidi, e comportarsi molto bene.
E, soprattutto, è vagamente insultante: buono fa pensare a qualcuno un po' stupidotto, un ingenuone, uno sprovveduto, un candido, un mite forse un po' vigliacco.
O, peggio, a un paolotto, uno che va a messa e aiuta il don all'oratorio, uno che non dice le parolacce, non si masturba e non si interessa di politica.
Uno di quelli di cui mia nonna avrebbe detto È un po' un SanQuintino.
Ora se si pensa a una persona buona viene più o meno in mente uno pallido e un po' bisinfio, con grossi occhiali e andatura lenta, che mette via i sacchi del supermercato ben piegati e mai darebbe, mai, un pugno a qualcuno.
Qualcuno che fa melense opere di bene e non se ne intende di tecnologia. Qualcuno non molto interessato al sesso.
Di uno strafigo colto, abbronzato e muscoloso, di una bella donna tutta intelligenza e gambe, di un ragazzetto tatuato coi capelli in piedi e i jeans sotto le chiappe non ti verrebbe da dire È una persona buona. Eppure, perché no?
Eppure, no. Non si dice più. Sono anni che sento dire solo "No, sai, XXXX è davvero una bella persona".
Come se la bontà si fosse trasformata in un'attributo estetico dell'anima.

Non dico che sia giusto o sbagliato, non lo so. Solo, mi domando quando.
Quando è stato che abbiamo iniziato a usare questi giri di parole, questi strani eufemismi? Quando è successo che la bontà è diventata una cosa leggermente vergognosa?



(ad esempio io mi vergogno un po', a pubblicare questo post.)

venerdì, 07 ottobre 2011
 

Quest'estate ho avuto paura delle stelle. Qui non ce ne sono quasi più, naturalmente, ma lì ce n'erano tantissime, più di quante abbia mai visto, e nonostante ne cadesse qualcuna ce n'era ancora un firmamento di milioni. E mentre le guardavo ne vedevo sempre di più: la via lattea fatta di oggetti e non di luce.
Così, invece di chiudere gli occhi e girarmi su un fianco per dormire, ho deciso di addormentarmi ad occhi aperti. Supina, a tre metri dal mare, volevo tenere gli occhi spalancati sulle stelle e lasciare che a un certo punto si chiudessero da soli.
Ma quando iniziavo a scivolare nel sonno, e tutto si sfuocava e diventava buio, all'improvviso - forse un rumore di onda, forse un soffio d'aria - ritornavo di colpo, in un istante, sveglia.
E in quell'istante lì, come in una messa a fuoco di velocità sbalorditiva, rivedevo le stelle, tutte e una a una, che mi esplodevano negli occhi tutte insieme. Arrivavano di colpo, ed erano miliardi.
Ho dormito pochissimo, perché continuavo a rivedere il big bang. E ho avuto paura: l'universo era vivo e mi guardava.




Perché mi è venuto in mente adesso? Non lo so.

venerdì, 30 settembre 2011


Come il nulla nella storia infinita, il lupatoto avanza.
In altri paesi ha dei confini precisi: c'è la campagna, poi il lupatoto, poi la periferia residenziale, poi il centro città.
Il nord Italia, invece, è un unico gigantesco lupatoto.
Un capannone. Un gommista. Tre villette, messe un po' di sghembo una rispetto all'altra, una giallo poltiglia, una rosa confetto con mattoncini, una marròn con pilastrini. Un distributore. Un MercatoneBuonPrezz. Un altro capannone. Una rotonda. Una concessionaria di veicoli industriali. Cinque villette a schiera con vista sulla concessionaria. Un altro capannone, più grande. Un elettrauto. Un rivenditore di piscine. Due villette, una con giardino l'altra no, entrambe con tapparelle beige e lenzuola sui davanzali. Una rotonda con aiuola di gramigna. Un MercatoneCompraBen. Un terreno incolto, con un'auto abbandonata tra i barbansotti. Altri due capannoni, con cancelli elettrificati e cani feroci. Un cimitero. Un distributore con lavaggio auto self service. Una CasaDelLampadario. Una palazzina di uffici di tre piani con vetri fumè. Una prostituta mattiniera. Sei villette a schiera. Un ristorante cinese. Un capannone, piccolo. Un semaforo. Un campetto da calcio con una porta sola. Un villino dell'ottocento coperto d'edera. Sei capannoni, tutti grigi tranne uno. Un MercatonePaghiMen. Un distributore. Una concessionaria. Un lavasecco. Una villetta con tende a strisce e ampio posto auto. Una CasaDelDivano. Una trattoria. Quattro villette con araucarie in giardino. Un cantiere. Un'isola ecologica. Un orto. Un capannone. Un rivenditore di materiali edili. Un capannone. Una villetta. Un capannone.

Là dove c'era l'erba ora non c'è una città. C'è un lupatoto.
E avanza: ogni giorno una ruspa si sveglia e sa che dovrà spianare le fondamenta per un nuovo capannone, ogni giorno una villetta si sveglia e si trova davanti alla finestra uno svincolo neonato.

Per sapere se sei nel lupatoto c'è un semplicissimo test in tre fasi.
• Primo: guardati intorno e domandati se, a perdita d'occhio, vedi un posto dove potresti fermarti a fare la cacca.
• Secondo: guardati intorno e domandati se, a perdita d'occhio, vedi un posto dove potresti fare un picnic.
• Terzo: guardati intorno e domandati se, a perdita d'occhio, vedi un posto dove potresti volere fossero disperse le tue ceneri.

Se trovi l'uscita, scappa.





Lupatoto:

-.Beh, dovremmo essere arrivati, no? Il cartello della città era cinque chilometri più indietro.
- Sì sì, ci siamo quasi: questo è il sangiovanni lupatoto di XXXXX, tra dieci minuti siamo in centro.
- Questo è il cosa?
- Il sangiovanni lupatoto, questo posto qui di capannoni e mercatoni è come sangiovanni lupatoto: è un paese, sai.
- Hahahahhahhahahaahhaahah, ma smettila! Non può esistere un paese che si chiama così, l'hai inventato.
- Che scema. Certo che esiste. San Giovanni Lupatoto, è nel veneto.
- Hahahahahahahahah! LUPATOTO...! L'hai inventato! Hahahahaahahahhahaha!
- Ma smettila. Esiste, giuro, smettila di ridere come una scema.
- HAHAHAHAHAHAHAAHHAAHH!
- Quando andiamo a casa guardiamo su gugol e vedrai. Se esiste mi devi una bottiglia di pastis.
- LUPATOTO...! AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!

Esiste. Ma la parola è così bella, così perfetta che non ha sinonimi: adesso finalmente avete un nome, per quello che vi vedete intorno. E che quello che guardate si stia lupatotizzando sempre più in fretta non fa ridere, in effetti.