venerdì 20 gennaio 2012

Novembre 2003

venerdì, novembre 28


Io ho un collega - anzi per la precisione è un caporedattore - che non sa l'inglese. Niente di male in questo, per carità. (Parentesi: come la quasi totalità delle persone che non sanno una parola d'inglese, dice immediatamente "Sai, io a scuola ho studiato il francese", dando a intendere di essere stato impossibilitato a imparare "my name is Pino" perchè troppo assorbito nell'approfondimento delle sfumature più recondite della lingua francese. Poi la volta che capita di dover tradurre dal francese cinque righe annaspa tra un "mi pare che scritto così si intenda..." e un "dovrebbe voler dire...". Chiusa parentesi).
Comunque, niente di male nel non sapere l'inglese: non è obbligatorio, taluni non lo ritengono nemmeno auspicabile. Il punto è: perché se una persona non sa l'inglese si ostina ad usarlo? E non a usarlo in quei pochi casi in cui una parola inglese davvero serve, ma ad usarlo per dare al discorso un tono simpaticamente colloquiale, gaiamente gergale: un amichevole slang, che fa subito swing.

Così, quando gli sottoponi una bozza, tutto entusiasta ti dice: "Oh, molto, molto gud!"
Quando ci approvano un progetto: "Oi, ragazzi, avete sentito? È fanta-stic!" Quando inciampa, rovescia o fa cadere qualcosa (gli capita spessissimo perchè è maldestro come qualcuno che abbia i polsi ammanettati alle caviglie) non dice un tranquillo "Oh, scusa" ma un simpatico "Schius mi!!!" Ora, io sono di norma una persona tollerante, ma questa cosa mi irrita allo spasimo. Non so perchè: magari è che mi irrita lui, di suo, può essere.

Ma quello che davvero mi fa ammattire è quando il venerdì saluta i colleghi dicendo: "Ciao, buon uic!"
Lo sa che la dizione completa è "uic end", ma siccome lui col fine settimana è in ottimi rapporti lo chiama familiarmente "uic". Una collega molto giovane, appena arrivata, ha provato a dirgli "...Sai, però se dici così... è un po' come se dicessi buona settimana... cioè, non è molto giusto..." Ma lui, moderno e spavaldo, le ha risposto "Ehehehe, sì sì, ma è un modo di dire." (Che ne sai tu, pupa, dello slang?)

Ecco, il resto passi, ma io quel saluto lì del venerdì non lo reggo.
Quando prima di andare via faccio il giro a salutare, ormai lo faccio il più rapidamente possibile per non farmi intercettare. Mi affaccio in corsa alla sua stanza per una frazione di secondo, dico "Ciaociaoiovadocivediamolunedì" e sono già quasi sul pianerottolo. 
Ma implacabile, da dietro la porta che mi sto chiudendo alle spalle mi arriva squillante il suo garrulo -UE' CIAO! E BUON UIC!!!!

postato da: sphera alle ore 12:59 | link | commenti (4)

giovedì, novembre 27

E continua. A piovere, intendo. Buio alle quattro del pomeriggio, cielo color lumaca, inzuppato e sporco come lo straccio dei pavimenti.

Ho visto pianeti migliori, davvero.

postato da: sphera alle ore 19:42 | link | commenti (8)


mercoledì, novembre 26

Ho fatto caso che dopo aver postato il resoconto della sua ultima telefonata il maniaco non mi ha più chiamato. O ha di nuovo finito i soldi o ha letto il post e si è risentito perchè ho violato la sua privacy. Ci son delle sensibilità, capisco, che a volte si vanno maldestramente a toccare. Se l'ha letto però sarebbe stato carino che almeno lo commentasse, direi.

postato da: sphera alle ore 19:53 | link | commenti


sabato, novembre 22

Deprivazione sensoriale

Sono stati fatti seri studi ed esperimenti che dimostrano come la deprivazione sensoriale, portata agli estremi, conduca a una specie di stato di follia catatonica.
Ora io sono un po' preoccupata, al riguardo.
Perchè sento sempre più gente dire "sono in cerca di emozioni, non so come provare sensazioni forti, mi annoio, mi sembra tutto così spento"
Allora mi sono un po' informata, ho chiesto in giro. Ho provato a domandare:

Hai mai fatto una fatica fisica vera, pesante? Non mezz'ora di step in palestra ma otto ore a zappare sotto il sole, mille metri di dislivello con venti chili sulle spalle, un quintale di legna da segare e spaccare, sette ore di cammino, cose così?
No.

Hai mai ucciso un essere vivente più grosso di una zanzara? Che so, tirato il collo a una gallina per il brodo, preso a scopate il topo in dispensa, schiacciato una vipera con un sasso?
No.

Hai mai visto coi tuoi occhi morire un essere vivente? O nascere? Non dico un uomo, ma anche un gatto, un cane, un pulcino, un pesce rosso?
No.

Ti sei mai sporcato, tutto, tanto, di terra o di fango? O di polvere, di catrame, di calce?
No.

Hai mai pulito qualcuno dal sangue? Dal vomito, dalla cacca?
No.

Hai mai dormito senza un tetto di qualunque genere sopra la testa? In un prato, in un bosco, su una spiaggia, senza nemmeno una tenda, senza niente?
No.

Hai mai piantato un seme, visto crescere una pianta per anni, colto un frutto di qualcosa che hai piantato, anche solo un pomodoro?
No.

Hai mai sventrato, pulito, svuotato delle interiora un pollo, un coniglio, un pesce?
Magari magari anche solo osservato da vicino farlo?
No.

Magari mi sbaglio, ma la realtà virtuale verso cui stiamo andando non è quella di internet.
È quella di persone che vivono in un limbo di vita artificiale, e non conoscono né sangue né sudore né polvere né merda. Magari mi sbaglio ma mi pare improbabile, così, sentirsi vivi.

postato da: sphera alle ore 16:07 | link | commenti (2)

martedì, novembre 18, 2003

TI MANGIO.
Non credo di essere solo io a ipotizzare che ci sia uno stretto legame tra il modo di mangiare e quello di praticare il sesso. 
Non credo sia una teoria tanto campata in aria, considerando che in entrambi i casi entrano in gioco sia le modalità di godimento sensoriale sia il rapporto col proprio corpo.
La teoria è ovviamente difficile da verificare personalmente sui larghi numeri, ma le sperimentazioni fatte fino ad oggi nel mio piccolo e i dati raccolti su quelle condotte da altri ne convalidano, per il momento, l'assoluta fondatezza.
Quando siete a tavola con qualcuno, provate a pensarci.

Provate a guardare la pittima, che è tutta un "No, questo non mi piace!", "No, per favore, così è troppo", "Questo non lo assaggio nemmeno, vedo già così che non mi va", "Questo non posso proprio, mi fa male", "Appena un pochino, di quello, che proprio non ho appetito... No, meno, meno!", "No, no, non posso neanche sentirne l'odore, mi fa vomitare, davvero.". La pittima mangia - in scarsissima quantità - solo due o tre cose. Le quali poi non è che le piacciano moltissimo. Non le fanno proprio troppo schifo, ecco.

Provate a pensare a quell'amico vorace, che appena vede comparire la zuppiera non riesce a trattenere il gesto di alzarsi dalla sedia, tanta è l'ansia. Che il piatto non è ancora poggiato sulla tavola e già ci ha messo la forchetta dentro. Che si tuffa, sordo e cieco, a divorare tutto in pochissimi secondi, e sta ancora deglutendo un boccone che già ne sta masticando un altro. E quando tutti gli altri hanno solo iniziato a dare un paio di cucchiaiate, lui ha già ripulito il piatto e gira attorno uno sguardo obnubilato e vuoto. Si vede che gli piace. Ma gli piace davvero molto, così tanto da non sentirne neanche il sapore. Gli piace troppo.

Provate a fare delle ipotesi su quella amica con le labbra strette che affronta ogni cena con la gelida razionalità di un perito di autopsie. Che scompone ogni piatto nei singoli ingredienti, valutando di ognuno gli apporti calorici e vitaminici e proteici. Che esamina con minuzia ogni fase del processo di preparazione e cottura, perchè non ci deve essere nulla che non sia sotto ferreo controllo. Che si mette all'opera tenendo coltello e forchetta nella perfetta e studiatissima inclinazione per ottenere il risultato più consono, col viso serio di chi è totalmente dedito al dovere. Lei non mangia, assume componenti nutritivi. E nella suo agire perfettamente regolato niente viene mai lasciato all'improvvisazione.

Provate a osservare, invece, quell'altro amico che mangia di tutto. Ma di tutto, in qualunque momento gli capiti sottomano. Con lui va assolutamente sprecata ogni cura, ogni finezza: non fa la minima differenza tra un sofficino findus freddo e fois gras del Perigord lasciato macerare tre giorni in aceto aromatico e guarnito con salsa alla rosa muschiata. Il suo unico parametro è che non sia velenoso, per il resto mangia qualunque cosa, nella maggior quantità gli riesca possibile. Spesso sfiora il confine dell'immangiabile e non di rado lo oltrepassa. "Ma hai mangiato tu quell'avanzo secco di polpettina che era in frigo da otto giorni perchè nessuno lo voleva?" "Sì beh, avevo fame. E poi, non era poi così male, dai."

Provate a considerare l'amica quella delicata. Che con uno svolazzare aereo mangia solo cose "buone". Che per lei sono quelle dolci, morbide, zuccherose. Niente di salato, saporito, piccante. Un'acciuga potrebbe ucciderla, un boccone di fegato farla svenire. Delle cose "cattive" rifiuta anche il solo pensiero e considera un sanguinario e perverso tentativo di farle del male proporle qualcosa che non sia Dolce, meglio: DOLCISSIMO. Tenero, meglio: TENERISSIMO. Delicato, meglio: DELICATISSIMO. Nel suo mondo di frutta candita le dee si nutrono solo di miele e ambrosia. Una sola punta di peperoncino le incenerisce.

E provate a pensarci, alla amica a dieta. Che è sempre a dieta. Sempre. Che ha gli occhi illanguiditi dal desiderio, ma rinuncia. Dice no, sempre. Non posso. Non voglio. Non devo. Non perchè non le piaccia, come alla pittima, anzi. Il suo appetito è così grande da sembrarle meritevole di punizione. E si punisce, soffrendo, coi denti stretti sulla foglia dell'insalata mentre gli altri mordono, masticano e inghiottono davanti ai suoi occhi. Forse lo fanno per farle del male. Ma va bene anche quello, sì, fatemi del male, mettetemi sotto gli occhi una delizia di cioccolato e crema così che io possa, in un'estasi di sacrificio, dire ancora una volta NO.

Provate, provate a pensarci, a farci caso. E poi sappiatemi dire.Vi prometto che se mi invitate a cena non guarderò come mangiate.

postato da: sphera alle ore 18:59 | link | commenti (7)

domenica, novembre 16, 2003

Conversione di un maniaco.
Allora. Un po' più di un mese fa ha iniziato a telefonarmi quello che mamme e nonne definirebbero un maniaco, le zie probabilmente userebbero la parola pervertito.
In pratica uno di quelli che tiri su il telefono e senti dall'altra parte ansimare e gemere. La prima volta che ha chiamato erano le otto di sera e io stavo facendo il soffritto. Ho detto 'pronto', ho sentito ansiti e rantoli, ho smesso di rimescolare le cipolle e mi sono messa a ridere. 
La comunicazione è stata chiusa bruscamente. 
Mi è stato detto poi che non era la reazione giusta, ridere, ma insomma sentir ansimare era così incongruente con il mio ordine di pensieri in quel momento che non me ne è venuta un'altra.
Nei giorni seguenti il maniaco mi ha chiamato diverse volte, sempre a orari improbabili (almeno secondo il mio modo di vedere), cioè alle otto di sera o alle otto del mattino mentre andavo al lavoro. 
E io, seguendo i saggi consigli di amici e conoscenti, mettevo giù al primo ansito. (Qualcuno mi aveva anche detto "chiama la polizia". E cosa dico alla polizia? Di piantonarmi il telefono?) 
Nel frattempo il mio acume investigativo mi aveva portato a rendermi conto che non potevano essere telefonate a caso dato che l'ansimante mi chiamava sul cellulare, e quindi c'era la concreta possibilità che fosse una persona che conoscevo, ipotesi avvalorata anche dal fatto che chiamava nascondendo il numero.

Poi mi sono stufata di metter giù il telefono. Perché mi seccava, nell'ordine: a) essere in dubbio se rispondere tutte le volte che ricevevo una chiamata con numero privato b) dargli anche solo lontanamente la sensazione che mi facesse paura o mi turbasse c) lasciare che fosse lui a condurre la faccenda. E poi volevo sapere chi diavolo fosse.
Perciò mi sono messa d'impegno per farlo parlare: perché non so se avete mai provato, ma riconoscere una persona da un rantolo non è affatto facile.
Inizialmente la conversazione era piuttosto a senso unico: io gli dicevo che insomma diosanto, alle otto del mattino, io ero in treno, stavo andando a lavorare e non mi pareva proprio il caso. E poi tra l'altro chi cazzo era e come mai aveva il mio numero. Lui ansimava. Io mettevo giù.
Poi pian piano ha iniziato ad ansimare meno e a rispondere di più.
Un paio di conversazioni ha tentato di impostarle sul tema di cosa avrebbe voluto farmi e su quanto mi sarebbe piaciuto, ma ha verificato che non erano argomenti sui quali ero interessata a conversare.
Mi ha detto anche che voleva che ci vedessimo, ma gli ho spiegato che non mi pareva una buona idea: pensare di incontrarci che so, in un bar, lui che arriva e si presenta: "Ciao, piacere, io sono quello che si fa le pippe al telefono". Non so, gli ho detto che secondo me non avrebbe funzionato.
(Nel frattempo, nel caso qualcuno se lo chieda, avevo appurato che la sua voce non mi diceva nulla di nulla. Dalla voce, che pareva decisamente giovane e con un leggero accento che non sapevo identificare, non avevo ricavato il minimo elemento per capire chi fosse).
Nelle ultime telefonate non ansimava praticamente più, e esordiva con un "Ciao-come stai-non mettere giù" abbastanza beneducato.
Poi per due settimane non ha chiamato. Ho ipotizzato che avesse speso troppo e dovesse aspettare la paghetta per ricaricare il credito del cellulare. Mi ha chiamato ieri e riporto, letteralmente e integralmente, la conversazione.
- Pronto?
-...ciao.
- Oh, ciao.
- Non mettere giù.
- Mh.
- Ciao, come stai?
- Beh, era un po' che non ti facevi sentire.
- Ti sono mancato?
- No, non direi.
- Come no? Neanche un po'?
- No. Non chiamavi perchè avevi speso troppo di telefono?
- Eddai...
- Vabbè, comunque adesso devo andare.
- No dai, resta ancora un po', dai...
- No, vado.
- Dove vai?
- A far la spesa.
- Vengo anch'io...
- A far la spesa?
- Sì, dai. Ti aiuto a portare le borse.
- Non mi pare il caso.
- Senti ma tu sei sola ora? Nel senso, non hai il fidanzato?
- No.
- Ah.
- Ma cosa vuoi, fidanzarti con me?
- Fidanzarsi è una parola grossa...
- Eh, pare anche a me. Anche perchè la nostra conoscenza è iniziata in una maniera, come dire, un po' strana. Non credi?
- Essì. Però mi piacerebbe far la spesa con te.
- Io vado.
- Sì... Ci sentiamo, poi, eh.
- Ciao.
- Ciao.
Non so cosa voglia dire. Ma partire dalle masturbazioni telefoniche e arrivare a volermi portare le borse della spesa mi pare un'evoluzione. O no? Magari è un regresso invece?

postato da: sphera alle ore 22:37 | link | commenti (3)

venerdì, novembre 07

Mamma mia com'è difficile. Fare una cosa che non si è capaci di fare, intendo. Un blog in questo caso, mettendoci dentro i colori e le cose che si vogliono metterci. 
Ma vale anche per la lepre in salmì, per carteggiare stuccare e verniciare le imposte, per andare in bici senza rotelle. Poi si impara, dopo aver pasticciato, bruciato tutto, aver fatto colare la vernice e essersi massacrati cento volte le ginocchia e le mani. E sarà bellissimo e ci verrà benissimo e ne saremo fieri, e ci sembrerà facile. 
Anche se, a quanto si dice, ad andare in bici una volta imparato non si disimpara più, mentre pare si possa dimenticare come si cucina la lepre o come si mettono i tag dell'html. Chissà perchè. 
Io credo che sia perché non è possibile dimenticare le cose che si imparano solo ed esclusivamente col corpo, mentre si possono dimenticare quelle per cui bisogna usare la testa. 
Infatti funziona per il ballo e per il sesso come per la bici. Nessuno sa spiegare a parole come si fa a stare in equilibrio sulla bici, se non dicendo scemenze inutili come "ti metti su e pedali". 
A un certo punto il tuo corpo capisce come si fa: e da allora in poi se la cava da solo, senza che mai tu debba nemmeno per un singolo momento pensare "adesso con la gamba faccio questo e poi quest'altro". 
Mi sa che qualche milione di anni fa eravamo capaci di farle tutte, tutte le cose, in questo modo. Facendole e basta. 
Mentre intanto avevamo tempo di pensare a inventare il fuoco e la ruota. Non siamo stati più così in gamba, da allora.

postato da: sphera alle ore 21:44 | link | commenti (2)