lunedì 19 marzo 2012

lunedì, 30 gennaio 2006

Il treno parte d'inverno. Un inverno crudo e candeggiato, imbozzolato da una crosta di ghiaccio granulosa e stretta, dove l'acqua del fiume è lattiginosa e grigia, quasi spessa, indecisa se addormentarsi in un gorgo congelato. La pianura e fin su sulle colline è irrigidita e muta dalla neve, che riflette tutta la sua assenza di colore su un cielo smorto di fatica.
Poi subito dopo Borgotaro entri nel tunnel ed esci ficcato a forza fino in fondo dentro una impensata primavera.
Pochi minuti di oscurità segnano il confine tra due stagioni opposte: il cielo è blu e risplende, prati e pendii sono già verdi e il torrente ha acqua viva e azzurra, gonfia di riccioli languidi e vezzosi. Tutto è giallo di sole e di stupore.
Al ritorno è la stessa cosa, inversa, passi sferragliando dallo sfolgorio all'annichilimento, da una primavera che già corre tutta indaffarata ad un inverno che sembra immobile per sempre.
E mi piace così tanto questo passaggio così veloce e sorprendente che resterei a giocarci non so quanto, correndo nella galleria a sporgermi un momento sulla neve per poi girarmi in fretta e precipitarmi di là dove è già tre mesi dopo, avanti e indietro, correndo a piedi tra una stagione e l'altra.
Magari anche fermandomi ogni tanto nel mezzo, al buio, a respirare forte col fiato che se mi volto da una parte si condensa e se mi giro dall'altra già sa di terra bagnata ed erba. Proprio nel mezzo, sul confine.
Perché i confini esistono, ma solo quelli che noi non stabiliamo.
Ogni confine che noi, poverini, dichiariamo è sempre e solo una convenzione: di qua io tu stai di lì, adesso lavoro e poi riposo, ieri amorosi oggi coniugati.
Facciamo finta, tiriamo delle righe col gessetto che l'universo allegramente oltrepassa infischiandosene - o forse nemmeno se ne accorge - del nostro cipiglio di sfida fiera e indomita.
E ne traccia altri di confini, quelli sì veri e reali: quelli che a valicarli tutto cambia. Li traccia e li nasconde, invisibili e affilati e solo quando sei dall'altra parte scoppia a ridere e con uno sberleffo
ti mostra quale impensabile frontiera hai attraversato senza nemmeno accorgerti, mentre leggevi il giornale o aspettavi venisse su il caffè, mentre pensavi ad altro - che quasi sempre poi si pensa ad altro,
a farci caso.
È la linea precisa e tesa come un filo sottilissimo d'argento che spezzi passando con le tue grosse scarpe e prima il natale era magia e dopo è rito; prima credevi qualcosa e poi sai bene che non era vero; prima c’era un virus ed ecco, è mutato; prima pensavi fosse amore e poi è già quasi un fastidio; prima qualcuno era lì così che semplicemente c'era e poi lo ami.

Passi da mille inverni a mille estati senza mai riuscire a capire quale sia quel punto preciso della galleria. Anche se ti fermi e stai attento: senti solo il tuo respiro e qualche goccia d'acqua cadere e il rumore lontano di un treno che sta arrivando, forte.
 

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