lunedì 19 marzo 2012

Una mappa


martedì, 14 marzo 2006

Ci perdiamo lo stesso, ma ostinatamente continueremo a fare carte e mappe.
La mia, qui.
Tutte le altre, qui http://www.sacripante.it/007/
 
 

Ti ho fatto una mappa, vedi. L'ho fatta così mi puoi trovare, che questo mondo è così pieno di strade e non voglio che ti perdi, voglio che tu mi trovi.
Non sono tanto brava a disegnare, però mi è venuta bene: ci ho messo tutto, e ci ho messo tanto a farla.
In alto, lì, quella punta è la montagna, quella da dove arrivo. Non ho mai avuto tempo di raccontartelo bene da dove vengo, poi magari non ti importa nemmeno tanto, ma io l'ho messo sulla mappa, lo stesso.
L'ho fatta a punta perché non so che forma ha davvero, e perché era una montagna appuntita, di rocce e boschi freddi all'ombra, e quella lì è la mia casa. Non si vede granché, non me la ricordo bene, forse era anche quella in ombra, nel buco più scuro che fa il sole quando va dietro all'altra montagna grande. E quella che viene giù tutta storta così è la strada, piena di tornanti: in cima dove c'è quel punto si prendeva la corriera, all'angolo del bar, non lo so disegnare il bar.
È così la strada, che in corriera chi non era abituato gli veniva da star male, tutta a curve come un serpente, vedi. Come quella biscia che me lo ricordo ancora, che l'ho vista una mattina attraversare il sentiero e la Angiolina che saltava e strillava "La serp, la serp!" ma io invece ero lì ferma a guardarlo quel serpente grande, nero quasi verde che si muoveva come una esse, come un'onda nella polvere, e l'ho detto "Ma va, non è una vippera, mica morde, non fa spavento." Le vippere sono più piccole e cattive e fanno male. Quello era un serpe lungo e scuro che si muoveva come se il mondo fosse suo, e me lo sono ricordato quando il parroco a dottrina parlava di adamoedeva e della tentazione, l'ho pensato proprio così quel serpente, con la testa dritta.
E non ridere, che lo so che forse ti sembrano un po' ingenue queste mie storie di bambina, ma tu sei il mio amore e devi sapere tutto di me, per questo te le disegno sulla carta e le racconto.
Disegno la scuola elementare a metà discesa, un quadratino giallo, che lì mi pare che si vedeva il sole a volte. E poi la scuola media un po' più in basso nella valle, un rettangolo più grande, ma l'ho un po' sfumato col dito perché di quella mi ricordo poco, e chissà come ti sarei sembrata buffa se mi avessi visto allora, così piena d'ombra con un serpente d'oro a cui non smettevo di pensare.
Quella riga incerta è quella che porta alle professionali, piene di brutti voti e baci strani e cose a cui non ho voglia adesso di darti dei nomi, e poi diventa una riga fatta a biro che gira, infinite volte e spessa, intorno alla ditta. Non c'è niente da disegnare su quel posto: è un posto dove si lavora, e basta.
Ma lì dove vedi la carta stropicciata, e tutto quel calcare e cancellare e ridisegnare ancora, lì è dove sei venuto tu: quei segnetti sono i raggi, le vampe di luce e buio della discoteca e non posso disegnare il fuori, non posso mettere su questa cartina il punto in cui sei arrivato, non saprei mai come fartelo vedere, come farti vedere com'è stato bello e brutto.
È passato del tempo, lo sappiamo io e te, e non sono andata a scuola abbastanza per saper fare i contorni della paura e la vergogna - non di te, che di te non mi sono mai vergognata, amore - ma delle cose che dicono le persone, delle ragazze facili che fanno le operaie e poi si fan scopare la sera nei parcheggi.
Ma queste sono cose brutte, su questa mappa non le metto. Le ho scritte e cancellate con la gomma e la saliva, tanto forte che in quel punto, mi dispiace, ho fatto un buco.
Poi sono andata avanti, con tutti i dettagli ho disegnato da dove vengo e dove sono adesso: perché ti aspetto, perché non ho smesso mai di aspettarti, amore mio. E non ho smesso di pensare il tuo sorriso, che ci ho pensato così tante volte che lo so a memoria, come se lo vedessi, adesso. Ho provato a disegnarlo, in mezzo in alto, ma non mi viene mai abbastanza bello, quindi niente.
In basso, quasi sull'orlo, c'è un cerchio. L'ho fatto perfetto così, al primo colpo, io che proprio non disegno bene.
Intorno a quel punto c'è un contorno: lo vedi, vero, inciso forte con l'unghia, un solco. Perché è così che ci ripenso sempre a quel momento, con il dover ficcare le unghie dentro qualcosa, a fondo, e con un gemito tenuto dietro ai denti, che se avessi allargato il fiato tanto da farlo uscire mi avrebbe squartata, sai.
E dopo c'è tutto quello spazio, che è deserto ma che ho riempito di puntini. Per non lasciarlo vuoto, e perché poi ogni puntino è un giorno, piccolo nero senza dimensione e stretto, e sarebbero molti più di così ma non ha senso disegnarli, tanto hai capito, sei l'unico che mi capisce sempre, tu.
Da lì, guarda, prende forma questa traccia, che è quando mi è passata la tristezza perché ho pensato che potevo fare una mappa e allora mi avresti ritrovato.
Da lì parte il tratteggio, sottile di matita, però dritto. Dritto come la strada che ti riporterà da me, perché io la mappa l'ho portata, in una notte verso l'alba fredda e scricchiolante come quella, nello stesso posto, nel posto esatto dove ti ho lasciato.
Tu sai dov'è e la troverai: l'ho messa lì, nel cassonetto, amore mio.
 

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