lunedì 19 marzo 2012

martedì, 06 dicembre 2005

Ci sono lavori, sui binari. Lavori grossi, di potenziamento e raddoppio: lavori lunghi anche, si parla di due, tre anni almeno. Quasi tutto il tragitto è da mesi fiancheggiato da un enorme, quasi ininterrotto cantiere.
È cantiere di scavo e sbancamento, costruzione di massicciate e sottovie: vuol dire che è luogo di attività pesanti, con tonnellate e tonnellate di terra sassi e fango, con autogru altissime che fanno dondolare enormi irsuti fasci di tondini, presi al volo nella loro assassina oscillazione dalla mano guantata di un microscopico operaio, che con la grazia di quel gesto preciso evita con apparente noncuranza la morte di ferro che gli sfiora la testa senza casco.
In ognuna di queste albe d’inverno guardo dall’alto dei finestrini quell’apparente caos di melma e nebbia e acciaio, quegli stivali immersi in terra viscida emulsionata col ghiaccio della notte, quel metallo nero di cui sembra di sentire il peso e il gelo, quei berretti calati fino agli occhi su facce a volte anziane, molto spesso scure, quei fiati che escono diritti nell’aria ferma, mescolati di vapore e fumo, quei guanti che irrigidiscono le mani e sembra le debbano ingoffare, e invece le vedi con la tenaglia girare esatte intorno ad un tondino il fil di ferro, legarlo all’altro, stringere e fermare il nodo, con un unico movimento armonico e concluso a cui è più che sufficiente una mano sola e che non fa nemmeno oscillare la sigaretta sul lato della bocca.
Guardo i mucchi di ghiaia brinata tra pozzanghere d’acqua scura e neve sbriciolata, vedo le creste alte di fango che congelano i tracciati curvi degli enormi camion che rimuginano cemento in tondo, vedo piovigginare sulla baracca e sul fuligginoso bruciacchiare di quattro assi ammonticchiate. E la luce che sprizza di scintille azzurre dove una giacca arancio, curva, fa un buco nella nebbia con una fiamma ossidrica.
Mi pare allora che un treno e un ufficio caldo e asciutto siano quasi un premio a volte, anche se non so per cosa.
 

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