lunedì 19 marzo 2012

martedì, 17 ottobre 2006

casa.

Questa è casa mia, dici. Ci son muri di mattoni e una porta, ci torno ogni sera, l'ho anche pagata (non del tutto magari, ma chi non ha in piedi un mutuo, oggigiorno).
È casa mia, misura da qui a là, son metri quadri conteggiati precisi che vanno, piastrella dopo piastrella, dal piano di inox della cucina alla finestra del bagno con la sua tendina un po' spessa, che non guardino dentro.
E certo, così resta facile: c'è un atto in Comune, un foglio al catasto, un contratto del gas. Ci son tre mandate di serratura, le foto dei nonni e le tapparelle abbassate, ci son le mie pantofole usate e la mia coppa del torneo di calcetto.
Invece una sera su una spiaggia, in un deserto, tra i monti, metti un telo per terra, e un altro a far da coperta.
Intanto vien buio, un buio troppo pieno di soffi d'aria e fruscii, di fremiti e ombre, per essere vuoto. Hai spostato due grosse pietre per poterti sedere, e una è un tavolo dove appoggi il pane, il formaggio e il coltello. E hai acceso una candela (antivento, che se non sei scemo son diecimila anni da che hai imparato a non dar fuoco ai boschi).
Poi ti allontani, magari a far la pipì, ti immergi nel buio come nell'acqua, col volo bianchissimo e muto di un barbagianni che si fa i fatti suoi muovendo ali veloci nell'aria appena sopra di te, senza alcun rumore.
Quando ritorni vedi quel cerchio di luce, impreciso e perfetto, che contiene i due metri di terra dove dormirai stanotte e che per questo solo motivo sono il tuo letto, vedi il tuo cibo e la bottiglia del vino, vedi forse qualcuno con in mano una tazza.
Questo è il tuo territorio, la tua casa stanotte o, chi può saperlo, per sempre.
E lo difenderai tirando tutta la notte dei sassi, muovendo appena una mano per trovarne uno lì intorno, gettandoli ben dentro il nero di quei cespugli da dove arriva il muoversi di un ghiro o un coniglio. 
E non lo farai per fargli del male, nemmeno pensi a colpirlo, è solo un avviso: qui ci sto io, qui non devi venire.
La casa più antica, la prima, aveva pareti di buio intorno a una fiamma.
Ancora oggi continuiamo a saperlo, quando per sentirci caldi, sicuri e vicini smorziamo la luce perché crei un alone, quando accendiamo un lumino o un camino. Ancora adesso in tinello o al ristorante, quando sembra solo un gesto carino - se non quasi melenso, che ci pare di avere imparato dai libri e dai film - anche ora ci pare giusto il lume di una candela per chiamare qualcuno nel cerchio, perché diventi un po' nostro.
È lo stesso messaggio di promessa e minaccia, di calore e di sfida che vibra intorno a ogni tana, da prima del fuoco e per ogni animale: "Io, noi siamo dentro, tu, voi siete fuori".
A delimitare ciò che ti appartiene non sono i muri che costruisci, ma il raggio della luce che hai acceso.

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